lunedì 11 febbraio 2013

Recensione Fumetto: Pulp Stories



di Diego Cajelli e Luca Rossi
edito da Edizioni BD

Il titolo e l'anno di uscita dicono già tutto ciò che si deve sapere: Pulp Stories, 1996. Quentin Tarantino ha da poco portato l'exploitation alla ribalta con l'ormai pellicola cult Pulp Fiction, offrendo all'epoca un nuovo e interessante modo di raccontare, e Frank Miller ha da poco rispolverato e rinnovato il noir/hard boiled con il suo Sin City. Questo il contesto, ampiamente descritto nella prefazione di Tito Faraci in questa curatissima raccolta. Ma Pulp Stories ci mette del suo, eccome. Vidi questo fumetto quando già masticavo da tempo  i due maestri sopra citati, e forse è per questo che la lettura mi incuriosì: un titolo così diretto non può certo non attirare l'attenzione di un amante del genere.

Varie storie, o meglio vari spezzoni, che vedono come protagonisti un investigatore di mezz'età alla deriva, un killer della mafia, un ispettore di polizia schizofrenico, un capo della polizia altrettanto schizzato, una bionda fredda e calcolatrice e due giovani mezzi sbandati. Vari spezzoni che si intrecciano e si completano a vicenda, un grande puzzle ricostruito con tessere sparse.
La storia ha inizio quando la bionda entra nello scalcinato ufficio del detective privato Jack Traxler: lei sa che il marito, ricco magnate di nome Benjamin Donovan, la tradisce, quindi lo assume per trovare le prove che le permetteranno di spennare il consorte in tribunale. Ma il detective scoprirà suo malgrado che la donna con cui la bionda viene tradita è la propria moglie. Puntualmente Donovan e la sua amante vengono trovati morti, e Traxler, accusato di duplice omicidio con movente passionale, è costretto a scappare dal folle ispettore Romero e chiedere aiuto al solo amico che gli è rimasto, un killer della mafia di nome Robert Giusti, che avrebbe dovuto uccidere Donovan di lì a poco perchè aveva sottratto dei soldi al boss. Si apre così una caccia spietata al vero colpevole, che porterà Traxler alla morte e Giusti fino in Messico.
In parallelo, si seguono anche le vicende dell'ispettore Romero che, come già detto, presenta una notevole instabilità mentale. C'è chi, dall'interno della polizia, inizia a indagare su di lui, scoprendo verità che per chi sta ai piani alti è bene che restino celate.

Non si fa mancare proprio niente questo fumetto, dalle sparatorie alle torture, dai poliziotti più che marci a killer professionisti pregni di senso etico. Belli e volgari anche i dialoghi, a tratti surreali e perfettamente inappropriati, come quando le guardie di Donovan (ognuno col nome di un filosofo) discutono su "Dove posso mettere il golf quando ho ancora caldo ma so che avrò freddo dopo?", che con una regia a tratti cinematografica contribuiscono a non annoiare per niente, anzi la storia è coinvolgente e scorrevole.
Il tratto presenta un bianco e nero netto e pulito, realistico ma mantenendo comunque una certa dinamicità sia del disegno sia delle singole inquadrature e delle tavole. Senza sbafi anche quando Rossi si cimenta nello stile cartoonesco, nelle soggettive di Romero: il prode ispettore vede sè stesso e le altre persone come animali, chi come cane chi come coniglietto ecc... Lui si vede come un grosso maiale,  e in effetti non è così lontano dalla realtà...

Se gli posso trovare un difetto è che alcuni degli spezzoni narrativi sono fini a sè stessi, ma le soluzioni di questi capitoli sono comunque buone e non infastidiscono la lettura, arricchendola di sangue e situazioni assurde.

Un buon fumetto, raccolto in una buona edizione, godibile sia dal punto di vista grafico che narrativo. E tutto italiano.

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